domenica 17 febbraio 2008

Così nacque "Lettera ad una professoressa"

Lettera ad una professoressa è stata scritta durante l’ultimo anno di vita di don Lorenzo. La morte gli camminava accanto già da sei anni e molti sintomi ci dicevano che presto se lo sarebbe portato via, ma è stata paziente con lui. Gli ha permesso di fare tutto quello che voleva fare, di dire tutto quello che voleva dire, gli ha permesso di far crescere i suoi ragazzi, di affidare i suoi messaggi, di scrivere Lettera ad una professoressa che è stata terminata giusto in tempo. E’ uscita un mese esatto prima che morisse. Lui l’ha vista solo stampata, non ha goduto il chiasso che ha suscitato, anche se sapeva perfettamente che lo scritto sarebbe stato una frustata così forte nella carne viva degli errori della scuola italiana, che per molti anni ne avrebbe portato il segno. In questi 40 anni si sono alternate nella scuola due generazioni di insegnanti che hanno dovuto confrontarsi con la forte denuncia della lettera e la sua accusa alla scuola selettiva che “respinge i ragazzi più bisognosi nei campi e nelle fabbriche e li dimentica”. Sono state costrette a guardarsi dentro, ad assumersi le loro responsabilità a sentire il disagio di fronte agli squilibri denunciati dalla lettera. In Lettera a una professoressa troviamo l’ultimo don Lorenzo: l’uomo, il maestro, il prete, modellato da un mondo e da una cultura che non conosceva, quella dei poveri, dei contadini di Barbiana, di chi subisce, degli esclusi e che gli ha dato orecchie e occhi nuovi per sentire e vedere quanto prima non vedeva e non sentiva. Don Lorenzo da Barbiana ha dato voce ai senza voce, fatto emergere le loro ragioni, la loro dignità, la validità e la ricchezza della loro cultura. Uno scritto che con la sua denuncia e proposta ha messo sotto accusa la cultura dominante, cioè quella borghese, ne ha analizzato la carenza e la vuotezza dei contenuti, indicando la cultura alternativa che possiede il popolo, che serve nella vita e che la scuola trascura. Da Barbiana è stato avviato un processo di rinnovamento che soltanto un uomo come don Lorenzo, che conosceva le due culture poteva avviare. Lui possedeva la cultura del mondo colto borghese, che aveva abbandonato e la cultura operaia e contadina che aveva conosciuto e abbracciato durante la sua vita di sacerdote e di maestro. Il confronto e lo scontro tra queste due culture ha dato vita a un processo di rinnovamento della scuola e della società, che purtroppo, nei 40 anni che ci separano dall’uscita del libro non è stato portato a compimento. Lettera a una professoressa non porta la firma di don Lorenzo ma della scuola; in realtà l’ha scritta facendo scuola, insegnando dal letto ormai a pochi ragazzi restati. Era un periodo che la malattia lo costringeva stabilmente a letto, spesso la notte non potendo dormire per i grandi dolori, passava molte ore a scrivere seduto, sorretto da tre guanciali. Poi la mattina con i ragazzi rileggeva, discuteva, ordinava, semplificava. In questo senso era lavoro di scuola. Una firma che don Lorenzo non si è voluto totalmente attribuire perché voleva morire maestro e con la gioia che i ragazzi avevano acquisito l’uso della parola scritta e parlata e anche perché voleva morire povero cioè non autore di libri. Per noi che abbiano vissuto quella esperienza a Barbiana la Lettera rappresenta anche il suo testamento spirituale, molti passi del libro parlano di lui. Quel Pierino sa tanto di autobiografico, se sostituiamo Pierino del dottore con Lorenzino del dottore viene fuori la storia del futuro priore di Barbiana.
Michele Gesualdi

VITA DI UN RIBELLE OBBEDIENTE

Lorenzo nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una famiglia dell'alta borghesia colta, a venti anni il giovane Lorenzo Milani incontra Cristo, ed è colpo di fulmine.Diventa cattolico e entra in seminario, dove ha compagni illustri, da mons. Bartoletti a don Rossi, a don Nesi. Ordinato sacerdote nel 1947, è cappellano a San Donato di Calenzano, dove fonda una scuola serale che gli provocherà l'ostilità dei benpensanti, nel 1954 e lo farà trasferire alla minuscola Barbiana, dove la scuola diventa a tempo pieno con al centro l'educazione linguistica: egli stesso conosce 5 lingue e sa affascinare i suoi pochi, poveri alunni. Una volta a Barbiana, fra i primi atti, egli si comprerà la tomba. La Firenze di quegli anni, dal punto di vista politico e ecclesiastico è stimolante, rispetto alla media nazionale; ma per don Milani, è giunto il momento di rompere i legami fra potere costituito e Chiesa, per fare scelte a favore dei poveri. La scuola è lo strumento."Esperienze pastorali" (1958) raccoglie dati, riflessioni, proposte scaturite dai suoi 7 anni a San Donato, ed esce con l'imprimatur ("irrituale") della Curia e con una lunga prefazione di mons. D'Avack. Il libro ottiene contrastanti giudizi. Apprezzato negli ambienti progressisti anche cattolici, la destra lo bolla come opera classista e il Sant'Offizio - sotto il papato di Giovanni XXIII - ne dispone il ritiro, vietandone ristampe e traduzioni (divieto tuttora in vigore).Milani proclama la sua obbedienza alla Chiesa, però è ormai convinto che la scelta dei poveri sia la scelta di Cristo e vorrebbe che la Chiesa lo approvasse e ne desse un segno concreto, con l'affidamento ad una grande parrocchia o al seminario. Le autorità giudicano il carattere di Milani difficile ed aspro e come possono lo isolano.
La Firenze cattolica si prepara al Concilio con riunioni e referendum, Milani con il suo amico Borghi solleva la questione (1964) di come il vescovo possa disporre a suo piacimento del seminario e dei suoi rettori. L'arcivescovo Florit non gradisce e l'isolamento di Milani aumenta. Intanto la salute del prete ha crisi sempre più frequenti. L'episodio dei cappellani militari che giudicano l'obiezione di coscienza una viltà, fa intervenire Milani, che manda ai giornali (1965) una vibrata risposta, che verrà pubblicata solo da "Rinascita" e che gli costerà un processo per apologia di reato, che lo costringerà a scrivere - impossibilitato a partecipare all'udienza - una sentita "Lettera ai giudici" nella quale ripercorre la storia d'Italia alla ricerca del vero senso dell'obbedienza e della coscienza.Il tema dell'obiezione di coscienza, oggi risolto, allora divideva sia ambienti politici sia ecclesiali: ci vuol poco perché don Milani venga chiamato "il prete rosso". Che con i suoi ragazzi, freneticamente lavora alla più famosa "Lettera a una professoressa", pubblicata sei settimane prima della sua morte, testamento spirituale di un "profeta disarmato". Assolto con formula piena, il 26 giugno 1967 muore in casa della madre. In appello sarà poi condannato.Temperamento non facile, orgoglioso, comunque consapevole delle sue capacità, dichiarava obbedienza ad ogni costo alla Chiesa: "Noi la Chiesa non la lasceremo perché non possiamo vivere senza i suoi Sacramenti e senza il suo Insegnamento".Ma d'altra parte riteneva anche che spesso bisognava mettere l'autorità ecclesiastica di fronte al fatto compiuto: "L'esperien-za insegna, quando la cosa l'è bella e fatta, il vescovo è molto più largo che quando gli si chiede prima…". Ciò non è solo furbizia, ma soprattutto responsabilità: ciascuno ha la grazia del suo stato: il sindaco per fare il sindaco, il papa per fare il papa, e il parroco per fare il parroco.

Perchè un blog su Don Milani?

L'anno scorso, in occasione del quarantennale della morte di Don Milani, sono stata a Barbiana dove ho scoperto quanto significativa e rivoluzionaria è stata l'opera del grande Maestro. Questo blog vuole essere uno spazio aperto per contribuire a mantenerne viva la memoria.