Lettera ad una professoressa è stata scritta durante l’ultimo anno di vita di don Lorenzo. La morte gli camminava accanto già da sei anni e molti sintomi ci dicevano che presto se lo sarebbe portato via, ma è stata paziente con lui. Gli ha permesso di fare tutto quello che voleva fare, di dire tutto quello che voleva dire, gli ha permesso di far crescere i suoi ragazzi, di affidare i suoi messaggi, di scrivere Lettera ad una professoressa che è stata terminata giusto in tempo. E’ uscita un mese esatto prima che morisse. Lui l’ha vista solo stampata, non ha goduto il chiasso che ha suscitato, anche se sapeva perfettamente che lo scritto sarebbe stato una frustata così forte nella carne viva degli errori della scuola italiana, che per molti anni ne avrebbe portato il segno. In questi 40 anni si sono alternate nella scuola due generazioni di insegnanti che hanno dovuto confrontarsi con la forte denuncia della lettera e la sua accusa alla scuola selettiva che “respinge i ragazzi più bisognosi nei campi e nelle fabbriche e li dimentica”. Sono state costrette a guardarsi dentro, ad assumersi le loro responsabilità a sentire il disagio di fronte agli squilibri denunciati dalla lettera. In Lettera a una professoressa troviamo l’ultimo don Lorenzo: l’uomo, il maestro, il prete, modellato da un mondo e da una cultura che non conosceva, quella dei poveri, dei contadini di Barbiana, di chi subisce, degli esclusi e che gli ha dato orecchie e occhi nuovi per sentire e vedere quanto prima non vedeva e non sentiva. Don Lorenzo da Barbiana ha dato voce ai senza voce, fatto emergere le loro ragioni, la loro dignità, la validità e la ricchezza della loro cultura. Uno scritto che con la sua denuncia e proposta ha messo sotto accusa la cultura dominante, cioè quella borghese, ne ha analizzato la carenza e la vuotezza dei contenuti, indicando la cultura alternativa che possiede il popolo, che serve nella vita e che la scuola trascura. Da Barbiana è stato avviato un processo di rinnovamento che soltanto un uomo come don Lorenzo, che conosceva le due culture poteva avviare. Lui possedeva la cultura del mondo colto borghese, che aveva abbandonato e la cultura operaia e contadina che aveva conosciuto e abbracciato durante la sua vita di sacerdote e di maestro. Il confronto e lo scontro tra queste due culture ha dato vita a un processo di rinnovamento della scuola e della società, che purtroppo, nei 40 anni che ci separano dall’uscita del libro non è stato portato a compimento. Lettera a una professoressa non porta la firma di don Lorenzo ma della scuola; in realtà l’ha scritta facendo scuola, insegnando dal letto ormai a pochi ragazzi restati. Era un periodo che la malattia lo costringeva stabilmente a letto, spesso la notte non potendo dormire per i grandi dolori, passava molte ore a scrivere seduto, sorretto da tre guanciali. Poi la mattina con i ragazzi rileggeva, discuteva, ordinava, semplificava. In questo senso era lavoro di scuola. Una firma che don Lorenzo non si è voluto totalmente attribuire perché voleva morire maestro e con la gioia che i ragazzi avevano acquisito l’uso della parola scritta e parlata e anche perché voleva morire povero cioè non autore di libri. Per noi che abbiano vissuto quella esperienza a Barbiana la Lettera rappresenta anche il suo testamento spirituale, molti passi del libro parlano di lui. Quel Pierino sa tanto di autobiografico, se sostituiamo Pierino del dottore con Lorenzino del dottore viene fuori la storia del futuro priore di Barbiana.
Michele Gesualdi